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Recensione "Portami dove sei nata", di Roberta Scorranese


Titolo: Portami dove sei nata
Autore: Roberta Scorranese
Casa editrice: Bompiani
Prezzo: 16€ cartaceo, 9,90€ E-book
Pubblicazione: aprile 2019


Tornate al vostro cuore voi che gli avete fatto violenza, e stringetevi a quello che vi ha fatti (Agostino d'Ippona, 'Confessioni')
Ho scoperto questo libro per caso, qualche sabato fa, prima di entrare in libreria: era in vetrina tra i vari ed essendo abruzzese, quel sottotilo mi ha attratta subito, tanto più che la stessa libraia me lo aveva poi consigliato quando le ho chiesto dove fosse.

La curiosità di leggerlo era poi amplificata dal fatto che, essendo l'autrice della provincia di Teramo, ed essendo la storia un ritorno alle sue origini, è ambientato per lo più proprio nella parte di Abruzzo che ho conosciuto e frequentato (e continuo a farlo) negli ultimi due anni: è in quella zona che l'ho letto, divorandolo in un giorno: essendo scorrevole e scritto bene, non è stato difficile riuscirci.

Come detto, quello dell'autrice, è un viaggio di ritorno alle origini (che decide di intraprendere dopo la morte del padre) nella nostra terra d'Abruzzo, terra che trema, terra di culti, terra legata a alle proprie tradizioni ed origini, talmente tanto da compiere battaglie per riportare a casa una statua di una Madonna ingiustamente ed erroneamente esposta altrove. Una Terra messa spesso alla prova, soprattutto negli ultimi anni, da calamità rappresentate dai terremoti (viene citato anche quello che nel 2015 ha distrutto completamente la mia città, Avezzano) e dalla neve eccezionale di due anni fa che oltre ad aver lasciato buona parte della Regione senza corrente per settimane, in concomitanza con le diverse scosse del 18 gennaio, aveva causato la tragedia del Rigopiano, citata anch'essa.
Tutto era bianco in quella mattina di gennaio: latte, neve, cielo, rumore. Chissà che ora era. Chissà chi era vivo e chi era morto da qualche parte. Ma lì tutto aveva un sapore di compiutezza: vita e morte si alternavano in una bizzarra pacificazione.
A questo proposito, l'abilità dell'autrice è rappresentata dal fatto di aver saputo raccontare, in maniera semplice, dolce ma comunque diretta, anche i problemi causati da quella giornata catastrofica, alle aziende produttrici di prodotti tipici della zona, aziende dove un ruolo importante è riservato alle donne, "Perché ci vogliono mani svelte e piccole per pressare la cagliata nelle formelle". E lo fa parlando dal punto di vista di questi protagonisti diretti, aspetto costante in tutta la storia. Uno dei vari aspetti che ho apprezzato è stata proprio questa fusione, immedesimazione sua in loro, che trasmette ancora più realismo.

Il ritorno alle origini non è semplice perché implica la consapevolezza del fatto che le conseguenze del terremoto cambiano, quando non distruggono completamente, anche ciò che c'è dentro le persone colpite, non solo il paesaggio fuori. Ed è anche questo in cui, credo, molti si possano ritrovare: abbiamo imparato a convivere anche con queste sensazioni.

Quel paesaggio straniero ferito dal terremoto aveva rubato il mio passato e lo aveva rimodellato, dandogli una forma che ora mi appariva familiare, vicinissima, dolorosa.
Prima dicevo che dell'Abruzzo viene data un'immagine completa: in questo ritorno alle origini, la narrazione si intreccia tra passato e presente, ricordi legati all'infanzia dell'autrice, dialoghi tra i suoi familiari e i vari abitanti di Valle San Giovanni (dove l'autrice è nata) e dintorni, che partono dal 1942 e arrivano al 1983. 
È proprio da questi dialoghi che si ritrovano gli elementi caratteristici della realtà paesana del passato: la figura della santona che guarisce i malati, il culto di San Gabriele (quanta tenerezza mista ad ironia, nel dialogo che la nonna instaura con il santo quando va a fargli visita per raccomandargli la salute delle persone care), lontano dal fanatismo, e fortemente sentito ancora oggi, tanto da richiamare continuamente fedeli da tutta Italia e Paesi del mondo, oltre che dagli abruzzesi che fanno visita al Santuario di Isola del Gran Sasso a lui dedicato, perché lì aveva trascorso un breve periodo della sua vita, fino alla morte avvenuta in giovane età.

Il miracolo per noi abruzzesi è una transazione morale: io ti do una cosa, tu me ne dai un'altra; io ti prego, mi lacero i tendini per venire qui a piedi, ti faccio l'offerta e ti porto i fiori, ma tu mi devi far promuovere Matteo, Sangabriè, con tutto quello che ho speso per le ripetizioni del pomeriggio; io digiuno e vado a messa, ma tu mi salvi il raccolto delle olive. Punto e fine. Stretta di mano e parola di pietra [...] 
Questi sono i miracoli che piacciono a noi abruzzesi: non ci sono figure che spuntano da una luce chiarissima o giochini di fuochi in cielo. Non ci sono proclami politici o segreti da interpretare. Quella è roba per intellettuali della cerchia papalina. Qui non si sfugge alla verità. Ci sono i verbali dei carabinieri che attestano l'eccezionalità di un fatto [...] Accanto alle foto ci sono i referti medici che non si spiegano certe guarigioni. Nero su bianco.

Incrociandosi passato e presente, ci sono anche ricordi legati alla Seconda Guerra mondiale con riferimenti, per esempio, anche a Civitella del Tronto e alla sua fortezza.

Oltre ai segreti, pettegolezzi, dialoghi con il santo e miracoli da lui compiuti, vita di campagna della provincia teramana, c'è spazio anche per le festività, con l'infiorata del Corpus Domini di Valle San Giovanni e i serpari di Cocullo, il 1 maggio.

Il viaggio, oltre che il teramano, coinvolge anche altre zone e province, L'Aquila compresa: una storia costruita quindi bene già in partenza e su un viaggio fisico, oltre che letterario. Anche questo rende il tutto ancora più realistico, realismo creato anche dal fatto che i dialoghi tra i vari personaggi vengono riportati con il linguaggio colloquiale e dialettale dell'epoca.

Non sono molti i libri che parlano e raccontano dell'Abruzzo in maniera completa e "Portami dove sei nata" lo fa in modo originale attraverso i tanti personaggi e con uno stile poetico, oltre che ironico. È per tutto ciò che è adatto a noi abruzzesi permettendoci di ritrovarci più o meno in tutto, e a chi abruzzese non è e che da queste pagine potrà capire perché Primo Levi abbia definito l'Abruzzo "forte e gentile".

È nei ritorni che mi ritrovo. Basta poco: un refolo d'aria umidiccia, un sentore di carne arrostita, il rumore di un fuoco acceso. Tutto quello che io sono ha una fisionomia che ogni volta mi coglie impreparata o mi fa sorridere. Mi capita di ritrovarmi in un accento dolce o in una risata che fa piegare gli occhi all'ingiù [...] Forse era solitudine, il preavviso di una vita "a una piazza e mezza", forse, semplicemente, era un miracolo. Come sempre il destino ci si annuncia con una sintassi precisa.

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